
Il mondo osservato

Hazrat Makhdum Abdul Ghafur
Shah Road Etah Uttar Pradesh
Neeraj Rolling Shutter Ph
scaffali arrugginiti pezzi
di ricambio cavi sedie
di plastica scatole tubi
bobine una motocicletta
ghirlande appese al soffitto
telecamerina di sorveglianza
e dietro il banco a guardare
la strada dietro il riflesso
degli occhiali eccolo
il dono umano
cinquantenne, sovrappeso
segnato ma stabile:
contemplatelo
imperscrutabile alla macchina
fotografica
fallimento della statistica
ore dieci del mattino inquadratura
a trecentosessanta gradi celsius
rotazione planetaria della testa
e tutti quei miliardi di dèi

Posizione desiderata:
accertatore di esistenza.
Esperienze pregresse:
notti passate a correre su carrarecce sperdute
in Google Maps, fino a raggiungere
un certo palo, un certo cespuglio.
Fiducia nei dettagli ad alta
risoluzione. Attitudine all'ossessione.
(Atacama, delta del Mackenzie,
Polinesia Francese, eccetera).
Schermomunito.
Referenze:
consorte semiaddormentata accanto
sempre in pena da un fianco all'altro.

Il bassopiano sarmatico della notte
tirato sull'Europa dalla testa ai piedi,
la sistole circadiana dei caloriferi,
l'ultima playlist di soft piano music
to help you sleep: il dormiveglia commuta
in viaggio pompato a ritroso sui gasdotti
fino all'ipotetico nodo d'interscambio
(lampade ai vapori di sodio, sibilo
dei manometri, rete metallica
a contenere l'avanzata della steppa)
e accelera la fuga pazza da sé stesso.
È stata una giornata troppo lunga
anche per lo stupore di fronte ai grandi
rubinetti arrugginiti del benessere
comprato a caro prezzo. Non fa in tempo,
il dormiveglia fantasmatico, a scorgere
oltre il casotto in cui dormicchia
Alëša o Mitja su una poltrona girevole
nello sfarfallio azzurro d'uno schermo
la continua replica dell'attonita
realtà: la sterpaglia attorno
alle piazzole in ombra, gli animali
della notte e della pena assiderata,
le frange di vissuto ad infima
risoluzione, e sullo sfondo i lumi
del primo di centomila villaggi
fiochi, come inghiottiti da un abisso
o ad occhi chiusi. Il torpore non li coglie
e allora oltrepassa la flangia (gas
naturale della coscienza che si oppone
al proprio venir meno con un exploit
di illusione) e monta la corrente, su su,
verso i campi di Jamal e di Urengoj
alla sorgente del sapere. Da non credere
che anche in fondo alla corsa a perdifiato
le cose tacciano nella lingua di sempre
(ma ugualmente non perde dettaglio la texture
nell'allucinazione della tundra: è proprio
questa gettata di torba, questa
polla glaciale, questa particolare
bacca d'erica incisa da un insetto)
e la teoria di neutri singolari
continua sotto strati di geologia
nel C-C-C imperterrito della catena
alifatica che accende le caldaie
e alimenta la guerra. L'io del primo
sonno sfiata dall'ugello: eccolo,
purificato dalla risalita, lucido
d'idrocarburo, decompresso in aumento
di entropia anche il suo persistente
bisogno d'essere preso con… e finalmente
libero, blatera
di cultura e cause
e ricorsi storici e sangue
fra le righe di questo plissé
mal sforbiciato da un sarto
ubriaco: al cospetto del grande azzeratore
boreale, che non ha orecchie e giustamente
non ascolta. E allora il termine credibile
è il dito puntato su coordinate random,
l'omino-cursore di Google Maps in caduta
frenata sull'ultimo avamposto: cortile
post-sovietico, due file di finestre chiuse,
intonaco sfogliato, erba matta, lo strazio
di una tramonto che dura generazioni, la luce
accesa al primo piano: Ivan che dopo il turno
all'impianto di stoccaggio sfoglia un catalogo
stropicciato di macchine per la trivellazione,
il samovar già freddo, e dietro un muro
sottile come il secolo, altro dolore inane:
Kirill precipitato nella feccia del decimo
bicchierino, Oksana che rammenda le calze,
Boris che dorme in anticipo la lezione
di chimica di domani… – immagino soltanto
e così credo di capire, il vetro
è appannato dal mio fiato, non c'è viaggio
che porti da nessuna parte, non spirito
che soffi sotterra nell'arsura come sulle acque:
in origine era la distanza
incolmabile, vuoto siderale a riempire
la fessura tra occhio e palpebra.

Un granello è rimasto bloccato nella clessidra degli dèi.
La clessidra di pietra ha un senso solo per queste creaturine effimere, improbabili,
formicolate tra un'era glaciale e l'altra sulla cima del masso per fotografarsi
sull'orlo del rischio.
E se cadesse proprio ora?
Tutto accade proprio ora. Perciò il masso si stacca e qualcuno ruzzola giù. Mille
metri d'urlo modulato dall'effetto Doppler. – Ma anche questo è una delle
creaturine a immaginarlo: nulla avviene veramente nel mondo degli dèi.
Conto alla rovescia da zero a zero.