
Giugno
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Ho bisogno di immaginare
Jota Ele Borges in ciabatte
(nota bene, non in pantofole)
che attraversa la notte della casa
cercando un bicchier d'acqua
e ritorna passo passo il Borges
che fa doppia la notte attorno
a sé ricordando di esser cieco,
la gola riarsa anelando
il sorso tagliente, generoso.
Ho bisogno di vederlo così, a mezzo
fra la biografia e la sete
nel limbo sereno del banale,
come noialtri non Borges, trovare
a tentoni una via nel perplesso
labirinto verso il letto.
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«El agua de la selva es feliz;
podemos ser malvados y dolorosos».
(Nils Runeberg)
Non c'è luna in queste righe,
non fuga d'orizzonte, non vento
che inquieti le bandiere, che ronzi
sulle funi tese, campanella
che scandagli il buio in eco
di preghiera. Non ho posato piede
sulla riva pullulante d'erba.
So che l'acqua è dolce e gelata
senza averne attinto. Da un sito
conosco la posizione degli astri
sulla scena in questo istante
e non mi dice nulla: triste
esercizio d'assenza sempre
più convincente. Altrove,
credibilmente,
il lago Manasarovar esiste.
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I.
Scampa la bocca che può mangiarti:
si attiene alla regola il ratto
non appena scarti dal sentiero
attratto da un pigolio d'angoscia
costante dal fondo della macchia
(e mica l'avevi visto, il ratto
mica cercavi lui, che ora
sfrigola via in un'ansia di fogliame
su per la miccia della propria salvezza):
scampa la bocca anche se non sai
se vuole mangiarti, ogni bocca è
congegnata per mangiare e un giorno
arriverà il tuo turno. Ecco il punto,
il nodo del paradosso, la religione
dello scacco: infrangere la regola,
diventare cibo per la bocca d'altri.
– Lo pensi, ma tu sei al sicuro,
il ratto è scomparso nel fitto, il pigolo
tace sotto il tuo sguardo attento,
riprende timido da un albero lontano.
II.
L'avevi visto, il ratto, prima di scartare dal sentiero?
Un pigolio nell'ombra, su una nota ripetuta.
Il bisogno di seguire la curva di ogni punto di domanda
che ti si offra, in pieno sole, nella domenica compiuta.
Sei entrato nell'erba. Il ratto è guizzato via
in un risucchio di paura. Non c'è creatura
anche al culmine della piramide alimentare
che non tema una bocca. Il pigolio si è spento.
Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo:
così si compie nel tempo la natura. E lo scacco
è ingoiare il paradosso, deglutirlo tutto intero:
diventare boccone volontario per la fame d'altri.
Infrangere la regola: sacrificare
alla bocca che può mangiarti.
Picco irraggiungibile dell'evoluzione animale.
Non oggi: oggi il ratto è scomparso nel fitto.
Il cupo pigolio è lontano. Nulla da dichiarare.
III.
Dal ratto disimparate questa parabola.
Dal ratto non visto fra l'erba
che teme i vostri passi
distratti dal sentiero
a cercare un pigolio nel fitto.
(La nota blu profondo, a lutto.)
Temi la bocca che può mangiarti:
questo, disimparate.
Fatevi voi stessi cibo.
Chi fugge alla propria morte per sbranamento
non avrà parte con me:
come il ratto scomparso
come il pigolio che chiama chiama
da un albero lontano.
Fuga.
È possibile che il bosco mi divori.
Una bocca invisibile è già aperta
a una certa svolta del sentiero.
Le ho passate più volte avanti e indietro
preparato a capriole concettuali.
Prevedo l'orrore in pieno sole.
Svirgola a un tratto un ratto su un letto di foglie.
Nonvisto. Onora la bocca che può mangiarti.
Vorrei chiedere scusa, vorrei non essere qui
dove sono costretto al male.
Ma no: il vero, unico varco
oltre la paura è farsi cibo volontario
per la fame di altri.
È scoperta che merita
l'aureola del sole:
ma la natura ride fra le frasche
con troppi denti, troppe vocali sparse.
Pazienza. È già tanto. Ancora
qualche passo e riguadagno il prato.
Per oggi rincaso quasi illeso.
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La mente sa
ma non crede
che su questa spiaggia
l'onda ha toccato terra
una volta
per la prima volta
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Sal 4,9
Saloth allinea le ciabatte sotto il letto
Iosif dice le preghierine della sera
– gli pseudonimi ben ripiegati sulla sedia –
Zedong abbraccia l'orsetto del cuore
Adolf si tira la coperta sopra il mento
Nessun cervello sano o malato ha ancora raggiunto il limite di ciò che si può imparare
sono innumerevoli le variazioni del dolore e ripetibili ad libitum senza noia
ma presto o tardi sopraggiunge il sonno
gli occhietti si chiudono da soli
– la storia della buonanotte sbatte le ali
sul soffitto come un pipistrello muto –
e domani sarà un altra splendida giornata
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Ho creduto ai miei piedi banali
quando infilandosi nella sabbia tiepida
mi hanno detto felicità.
Vado a letto sempre alla stessa ora
e in mezzo minuto mi addormento.
C'erano corpi allineati sotto gli ombrelloni.
Allineati sotto ombrelloni allineati.
Ma ciascuno era ciascuno e insieme
pesavano poco più di nessuno. Corpi brutti,
non preparati alla nudità, intenti a digerire.
Corpi di bambini prima della corporeità.
Li ho amati come ho imparato ad amare
dopo l'ultimo compleanno-tagliando,
dietro pareti di accettazione.
E sono stati proprio i piedi
che mi hanno tirato le gambe per decenni
ad inseguire una matura e piena
stupidità ora raggiunta, a spingermi
qualche passo più in là fin sulla riva,
fino al carretto dei gelati.
Temevo il mare per ciò di cui è metafora,
ora lo temo per il sale negli occhi.
Confessami il tuo guilty pleasure.
Sei una donna adulta, quanti anni hai,
non c'è più tempo per vergognarsi.
Bella la frangetta. Belle anche le cosce
che allo specchio ti paiono grosse
e infatti lo sono. Posso dirtelo solo
perché non sto parlando ad alta voce
ma sto scrivendo una poesia.
Cancellami. Il mio non è a rigore
un guilty pleasure ma un guilty
being moved to tears o come si dice.
C'è una canzone di Mariella Nava
che mi fa rizzare i peli sulla nuca
più di tutti i racconti di Ficciones.
Nessuno fa l'intellettuale
dentro la propria testa, o se lo fa,
povero lui. Ma non è questo che volevo dire.
Li vedi, i corpi? Ne senti l'attrazione?
Non intendo in quel senso:
lo vedi lo strato di dolore sopportato
lungo tutto un anno di lavoro
per due settimane di forse bel tempo
e parole crociate che non riescono?
Magari accanto a una famigliola
di bambini che strillano H 24?
Lo vedi lo strato di squallore
sotto la crema solare, e sotto ancora,
grattando con le unghie, lo strato
di bellezza inattaccabile, feroce
bellezza che la filosofia ignora?
Ne senti la gravitazione? E loro
mica se ne accorgono. Mica la ostentano.
Alzerebbero un dito davanti alla bocca,
shh, se mi sentissero. Ma tu volevi
sapere che gelato: dammi questo,
per favore, col cioccolato e la granella.
E sopra di noi galassie. A nasconderle
appena un velo di diffusione Rayleigh
e la protezione universale
della penuria di fotoni. E anche sotto,
galassie. Galassie da tutti i lati.
Nell'universo non c'è alto o basso
Impossibile bersi una birretta in pace.
Ma i piedi, loro non hanno occhi:
come ho detto, è altra la sabbia che calzano.
Ho passato l'adolescenza a contare l'infinito
e sono arrivato a tredicimila e rotti.
È così che si impara a vivere il presente?
Da qualche parte, sotto altri soli
più freddi e rossi, altre pelli forse
si abbronzano come le nostre,
pelli tese e scomode come le nostre
a contenere un punto di domanda
che col tempo si sbriciola
in puntini di sospensione.
La regola generale che vale
sulla Terra come su Trappist-1e
è stare attenti a non sbattere la fronte
sul controsoffitto basso del cervello.
Anche gli alieni piangono e si annoiano.
Anche a loro il pensiero, qualunque sia,
a volte si blocca in un singhiozzo
e lo sguardo non si stacca da un oggetto
casuale e senza forma, come a un ultimo
appiglio che non tiene e cade insieme.
Il gelato è buono ma non me lo ricorderò.
Ed è stata una bella giornata, nulla
di cui lamentarsi. E anche per te, mi auguro,
a parte le gambe stanche. Vedo
come le agiti sperando di sbarazzartene.
Ma ci sei abituata. Anche tu guardi
ai bambini senza vera nostalgia.
È molto quel che diciamo senza parlare,
semplicemente stando in una forma.
…
Ho lasciato andare gli occhi al saliscendi
dei fili dell'alta tensione lungo
lo stradone del ritorno. Righi muti
che aspettavano parole. E non ci ho letto niente.